Alessia Greco Psicologa

La fobia sociale, secondo diversi studi scientifici, è uno dei disturbi più comuni e circa il 13% della popolazione generale ha un episodio di fobia sociale nella propria vita. Questo disturbo ha solitamente un esordio precoce, si manifesta nell’adolescenza intorno ai 15 anni e spesso precede lo sviluppo di altri disturbi.

Trattiamo questo argomento con la Dottoressa Alessia Greco.

La persona con fobia sociale è consapevole di quello che la preoccupa: le situazioni sociali ed il giudizio sociale. I soggetti affetti da fobia sociale si sentono molto stressati di fronte a tante persone, ma anche solo davanti a una, per esempio mentre pranzano a ristorante, in quanto hanno paura di fare “una brutta figura”.

L’intensa paura di essere giudicati negativamente e di affrontare le situazioni sociali pervade il pensiero. Secondo il modello cognitivo, questi timori sono legati a idee distorte che inducono le persone a valutare in modo errato le situazioni, che le portano a sentirsi escluse, derise e rifiutate. Gli individui con questo disturbo hanno il problema di stare in mezzo agli altri, si sentono giudicati, si vergognano, non si sentono simpatici e stanno male. È presente una distorsione cognitiva e delle credenze distorte e disfunzionali, che non significa completa incapacità di valutazione ma è una esagerazione di un aspetto. 

Vi è una sopravvalutazione della disapprovazione altrui, che deriva da un eccesso di attenzione e di controllo delle espressioni degli altri ed una sopravvalutazione delle proprie mancanze, ossia ci si sente poco interessanti o di non saper parlare adeguatamente. Vere o false che siano, quel che conta è che queste idee sono disfunzionali e delle profezie che si autoavverano e generano quella timidezza tanto temuta. Infatti il continuo timore del giudizio negativo genera reazioni fisiologiche di vergogna che possono a loro volta essere oggetto di imbarazzo: rossori, balbettii, tremori e sudorazione. Le sensazioni più frequentemente percepite sono: confusione, tensione o tremori alle braccia e alle gambe, mal di stomaco, palpitazioni. Nelle persone con disturbo importante si può arrivare a veri e propri attacchi di panico.

Il soggetto se ne rende conto con terrore e li interpreta catastroficamente, ossia è ancora una volta un segnale della propria incapacità di stare con gli altri. La persona con fobia sociale finisce per vergognarsi della sua vergogna, generando il classico circolo vizioso. Le reazioni di vergogna vanno a sommarsi a quelle ansiose: postura di sottomissione, rossore in viso, desiderio di nascondersi dallo sguardo degli altri o di “scomparire dalla vista”.

Le situazioni più evitate sono: frequentazioni di locali, cene, feste, negozi, riunioni di lavoro, svolgimento di attività quotidiane in presenza di altre persone, come ad esempio, usare il computer, usare il cellulare, guidare, scrivere, bere, mangiare. La persona può sviluppare ansia anticipatoria immaginando ripetutamente il verificarsi di una possibile situazione “rischiosa”, aumentando così il suo livello di ansia.

Dunque, le emozioni che vengono percepite come problematiche nella fobia sociale sono: l’ansia/paura, l’imbarazzo, la vergogna e il senso di umiliazione.

Le cause di questo disturbo possono essere fatte risalire ad un insieme di fattori: ambientale, ossia vi sono state nella vita della persona situazioni in cui si è sentita sminuita o ha avuto un forte stress in momenti di cambiamento; psicologico, la persona ha alcuni tratti di personalità come la difficoltà ad essere assertivi, perfezionismo e ipersensibilità alle critiche; genetiche, sembra che si manifesti maggiormente nei consanguinei di primo grado.

Secondo ricerche recenti, il trattamento più efficace per la cura di questo disturbo è la terapia cognitiva, che prevede un protocollo con le seguenti procedure. Prima di tutto, creando un clima di comprensione della sofferenza provata, la persona racconta il suo problema, viene ricostruita la prima manifestazione del disturbo e della situazione attuale e viene formulato il contratto terapeutico, in particolare gli obiettivi condivisi da paziente e terapeuta. Nella terapia l’obiettivo principale è aiutare l’individuo ad accettare la brutta figura o il rischio che questa avvenga. Successivamente viene effettuata la psico-educazione, che consiste nel fornire al paziente informazioni sul disturbo, in particolare sulla sua modalità di insorgenza e mantenimento. Inoltre, si porta la persona a tirar fuori e nominare le sue emozioni, i suoi significati, pensieri e comportamenti. Viene svolto un lavoro di comprensione delle modalità di pensiero che consolidano e accrescono l’ansia, di ridimensionamento dei giudizi negativi sul proprio comportamento ed una disputa delle proprie credenze disfunzionali.

Infine, vengono acquisite delle tecniche per la gestione dei sintomi di ansia ed una esposizione graduale ai pensieri e alle situazioni temute ed evitate, attraverso l’immaginazione o vivendole effettivamente.

Alessia Greco

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